Seconda settimana racconto

30 luglio: Akureyri-Godafoss (km 54)



Memori della fatica di ieri, siamo pronti a dimezzare la tappa. Molto dipenderà anche dal vento, che anche oggi soffia implacabile, direttamente dal fiordo e diritto contro di noi. Gelido. Ed è subito salita. Come ieri. Ma non puoi fermarti a riposare, fa troppo freddo. Sono momenti come questi a farti riprendere il contatto con il te stesso primordiale, preesistente a tutti i falsi bisogni di cui si alimenta il nostro mondo. Il contatto con l'essere naturale e i suoi veri bisogni primari: un posto dove ripararsi ogni tanto; un pasto, possibilmente caldo. E davvero poco altro.
A un certo punto, la strada si allontana dal fiordo e inizia un altro lunghissimo passo tra montagne innevate. In cima, siamo veramente soli in balia degli elementi. La temperatura è vicina allo zero, le nuvole basse sulla strada. La discesa, lunga, si apre tra vette innevate lisciate dal vento, verso un'enorme pianura dove l'occhio nuovamente si perde per chilometri. Nessun segno di presenza umana, nessun riparo in vista.
L'hotel Edda che compare proprio all'ora di pranzo sembra un miraggio; una meravigliosa zuppa islandese - verdure con carne di pecora - ci scalda e ci rimette al mondo. I bisogni primari. Non serve altro.
L'hotel Edda è in realtà una scuola, che d'estate si trasforma. La sala da pranzo è a fianco di una palestra in cui giocano alcuni bambini.
Dopo la sosta si riparte nel vento, sempre lui, sempre più forte, sempre contrario. Arriva la fatica, quella vera. Anche qui in discesa devi pedalare per non fermarti.
Poco dopo l'incrocio con la pista di Sprengisandur arriviamo alla famosa Godafoss, la cascata degli dei. Oggi non saremmo più in grado di fare un altro chilometro. Il sito è pieno di turisti e l'unico albergo è tutto esaurito. Ma c'è il prato su cui mettere la tenda. E anche una doccia, appena chiusa da uno sportello ed esposta al vento e alle intemperie. Però è caldissima, se superi lo choc.
La cascata: la vivi con tutti i sensi, l'occhio catturato dai salti e dalle enormi masse di spuma bianca e dalle prospettive che mutano continuamente mentre ti sposti; l'orecchio dal rombo continuo e potente che non ti abbandona mai - e che ci farà compagnia tutta la notte. E il vapore dell'acqua sulla pelle.

31 luglio: Godafoss-Myvatn (km 55)



Le notti islandesi sono piene di vita animale. Non venendo il buio, gli uccelli non dormono. Camminano, cantano. Sembra che strani esseri passeggino fuori della tenda. Strani rumori appoggiati sul profondo e continuo bordone della cascata.
La partenza è di nuovo in salita. A volte vedi la strada da lontano, come una riga verticale che si alza verso il cielo. Ti sorprendi a misurare con l'occhio le pendenze che ti aspettano, come per farti una ragione di quello che stai per affrontare. E a calcolare la direzione del vento secondo le minime deviazioni della strada. Ma fa tutto parte del gioco. Di quell'insieme di emozioni che poi ti porterai dentro negli anni.
Ed eccoci finalmente in vista del lago Myvatn, con i suoi pseudocrateri immersi nella nebbia. Purtroppo anche oggi piove e la visibilità non è gran che. Peccato, con il sole deve essere qualcosa di unico. A Skutustadir arriviamo sotto una pioggia torrenziale, meglio rifugiarsi in un ristorante con una zuppa calda. Una famiglia di italiani ci saluta e si complimenta per il coraggio.
Dobbiamo ancora girare mezzo lago per raggiungere la nosta meta di oggi, per fortuna ora piove un po' meno. La strada si snoda lungo il lago, tra montagne di lava nera e pseudocrateri, stormi di anatre e piccole beccacce. Non è pianeggiante nemmeno qui. Ma il paesaggio è davvero suggestivo, di nuovo non sembra di essere sulla terra. Finalmente arriviamo in vista di Reykjahlið, la nostra meta di oggi. Il campeggio è incantevole, proprio sulla riva del lago. In mezzo al prato, in una piccola serra, crescono i pomodori.
Troppo freddo per cenare all'aperto. Ci prepariamo la cena tra la folla ammassata sotto la tenda cucina, dividendo il tavolo con una coppia di olandesi che svuota una dopo l'altra una serie impressionante di lattine di birra.

1 agosto: Myvatn, giornata di di riposo



Ecco il primo, meritato giorno di riposo. La notte ci hanno fatto compagnia canti di anatre e di ogni altro tipo di uccelli misteriosi. Di nuovo nella tenda cucina per la colazione, questa volta facciamo conoscenza con Francesca e Felix. Lei è di Roma, lui di Vienna. Vivono insieme a Vienna e stanno trascorrendo due mesi in Islanda, girando a piedi e con l'autostop. Lui è stato in bici da Vienna a Roma.
Decidiamo di goderci il meritato riposo ai bagni di Myvatn, che però distano 4 km dal campeggio. Giorno di riposo, non abbiamo voglia di pedalare. Si va a piedi, attraverso i sentieri. Ovviamente ci perdiamo e sbagliamo strada. Alla fine, arrampicandoci tra piccole colline fumanti (qui ci sono fumo e vapore dappertutto), ritroviamo almeno la direzione, e poi da lontano non è difficile individuare l'altissima colonna di vapore.
Immersi nell'acqua calda, in mezzo alla lava nera, tra nuvole di vapore, lasciamo che il corpo e la mente si rilassino, lasciamo fluire via la fatica contemplando il paesaggio, dominato da un lato dall'enorme cratere nero di un vulcano, mentre in basso l'orizzonte è disegnato dal lago. Luci magiche tra nuvole, sole e pioggia che si alternano di continuo.
Al ritorno troviamo per fortuna il sentiero giusto, che ci porta a scoprire questo territorio davvero incredibile. Camminiamo sulla lava tra le formazioni più strane. Dappertutto ci sono spaccature e il terreno fuma. Siamo nuovamente sulla spaccatura della dorsale Nordatlantica. E infatti ecco Grjotagja, il punto in cui puoi stare con un piede in Europa e uno in America: una piccola altura con una fenditura strettissima che ricopre delle grotte piene di acqua bollente.
Dappertutto voragini di cui non si vede il fondo. Anche sul sentiero, il terreno sotto i piedi suona spesso vuoto. Qui sotto forse ci sono gli abissi dell'inferno. Il terreno è tiepido per i fenomeni geotermici, e infatti le voragini e le fosse sono piene di vegetazione. E di funghi, porcini dall'aspetto invitante, che spesso nei luoghi dove ci fermiamo a mangiare ritroviamo sotto forma di zuppe.
In barba al meteo che dà bel tempo, la sera si scatena il diluvio universale. Una delle poche certezze sul meteo islandese è che non esistono certezze. Le previsioni cambiano drasticamente anche di ora in ora. E tutto dipende sempre da lui: il vento. Ci rifugiamo in un ristorante dove assaggiamo uno dei pesci che si trovano in questo lago e in pochi altri posti al mondo, il Salmerino artico. Fine della giornata di riposo, domani tocca ripartire. Con qualsiasi tempo.

2 agosto: Myvatn-Modrudalur (km 76)


Nella notte è spuntata una tendopoli di francesi che fanno a gara a chi russa più forte. Il campeggio è sempre più affollato.
La mattina, aprendo la tenda, arriva una leggera sensazione di freddo. Le falde sono coperte di ghiaccio e il prato è bianco di brina. Dopo il temporale di ieri sera, il sereno della notte ha portato il gelo.
La partenza è di nuovo subito in salita, con un colle piuttosto duro. In cima, l'ultimo balcone sul lago, con il suo paesaggio disegnato dai crateri e dal fumo. Dopo la discesa, inizia una lunga pianura tra campi di lava nera dalle formazioni più disparate. All'orizzonte si staglia un lungo profilo di montagne innevate. Freddo, vento, salite e discese dritte nel paese senza tornanti.
Lungo la strada incontriamo tre cicloviaggiatori inglesi dall'aria piuttosto distrutta. Oggi li ritroveremo più volte, abbiamo la stessa meta. Ci aspetta un altro colle, e, alla fine, ecco l'allunaggio tra montagne di sabbia. Questa parte orientale della Ring Road è una delle zone più selvagge, remote e desolate del paese. Dicono gli scettici che qui sia stato girato in realtà l'allunaggio di Armstrong.
Il vento aumenta ed è difficile procedere anche in discesa. Il freddo intenso scoraggia qualsiasi sosta che duri più di una manciata di minuti. La nostra meta per la notte è Modrudalur, la fattoria più alta d'Islanda. Per raggiungerla dobbiamo percorrere 8 km di sterrato, uscendo dalla strada principale. Inizia anche a piovere.
Ecco che in mezzo al nulla assoluto prende forma un gruppo di case di torba e una chiesetta. C'è un campeggio in posizione incantevole, ma freddo e pioggia ci fanno decidere per una stanza calda. Dal rifugio si gode una vista unica sul monte Herðubreið, coperto da un minaccioso cappello di nuvole. Là vicino c'è il mitico vulcano Askja. La via per raggiungerlo parte da qui, come testimoniano le numerose, immense superjeep che stazionano da queste parti.

3 agosto Modrudalur-Skjöldólfsstaðir (km 66)



Siamo indecisi se proseguire per la strada sterrata, che taglia andando nella stessa direzione, o tornare sulla Ring Road. Alla fine optiamo per la Ring Road, temendo di incappare in qualche strada di montagna troppo ripida e sconnessa. Riguadagnata la strada asfaltata, è subito salita. In cima al colle c'è un pullman di turisti tedeschi fermo per una sosta panoramica. Come quasi sempre in queste occasioni, ci guardano un po' come se fossimo marziani. Fanno domande: come siamo organizzati, quanti chilometri al giorno facciamo.
Dalla cima del colle, continua l'impressione di essere sulla luna o su un qualsiasi strano pianeta. Non fosse per la neve che imbianca le vette all'orizzonte...
La strada prosegue con saliscendi attraverso larghi altipiani, facendo ampie curve, e di nuovo le studi cercando di indovinare da che parte soffierà il vento, che anche oggi si alza senza pietà, freddo, anche se finalmente c'è il sole. Passando da una valle all'altra, il paesaggio cambia: dopo i monti di sabbia ecco una catena innevata dove il vento ha schiacciato e striato la neve formando strani disegni. E poi passiamo in mezzo ad altissimi canyon verdi in fondo ai quali scorrono fiumi blu, del colore del gelo. Il vento è implacabile, ma nell'ultima, ripida salita fa effetto "d'onda", ci scavalca e si rovescia spingendoci. Incrociamo un gruppo di motociclisti che ci salutano con un gesto incoraggiante. In questo viaggio, poco per volta, impariamo a percepirli come amici, anche se motorizzati, molto più rispettosi e solidali di quelli a quattro ruote.
Una discesa dritta e meravigliosa - anche se rallentata dal vento contrario - ci porta verso la fattoria di Skjöldólfsstaðir. È presto e si potrebbe anche proseguire, ma perché andare oltre a quanto pianificato? Siamo sfiniti dalla lotta contro il vento e le salite, e qui ci possiamo godere un pasto caldo e un pomeriggio nell'immancabile piscina bollente proprio nel prato del campeggio. La sera, possiamo cucinare al riparo sotto una specie di tenda lappone. Una delle signore della fattoria parla correntemente italiano: il marito è genovese




4 agosto Skjöldólfsstaðir-Stora Sandfell (km 74)



A parte le poche fattorie che si incontrano ogni tanto, questa parte di Islanda sembra davvero dimenticata da dei e uomini. La strada è stretta tra enormi fronti morenici, solcati di tanto in tanto da cascate che ancora una volta sembrano scendere dal cielo. Le pecore ci guardano e forse ridono. Quando ci avviciniamo, scappano sventolando il loro enormi posteriori lanosi. Contiamo i chilometri che mancano al momento in cui la strada girerà, e forse cesserà questo ossessionante vento contrario. Ora la direzione cambia, e la strada sale, nuovamente fino a una valle circondata da monti striati di neve e piena di fiori bianchi avvolti da piume, che ondeggiano nel vento. Il paesaggio è diventato più “domestico”, quasi alpino. C'è persino qualche albero.
Egilsstadir più che una città è un centro commerciale con aeroporto. Nel centro, accanto ai supermercati, pascolano le mucche. Niente che faccia pensare a un mostro nascosto sotto il lago, come vorrebbe una leggenda. Forse sono solo un po' gelosi di Loch Ness e ci hanno provato. Sosta per un panino e un po' di spesa. Il tempo si guasta rapidamente e quando arriviamo a Stora Sandfell piove. È l'unico campeggio nel raggio di decine di chilometri. Tutti i bungalow sono occupati e non c'è una cucina. Ci rassegniamo a mettere la tenda sotto la pioggia e a cucinare sotto la tenda. Non c'è altro riparo. Siamo in una sorta di boschetto, uno dei pochi luoghi di questo paese in cui si vedono alberi. I bungalow comunque sembrano vuoti, e non per la prima volta abbiamo la sensazione che ci rifiutino una stanza perché ciclisti, sporchi e bagnati. Verso sera, si riempiono di turisti eleganti e puliti con macchinoni di dimensioni insensate.

5 agosto: Stora Sandfell-Djupivogur (km 72)


Partiamo attraverso un'altra valle dall'aspetto alpino, nella nebbia,



sotto una pioggerellina che ricorda gli autunni di casa nostra. Per fortuna, stamattina il poco vento è quasi a favore. La strada n. 1 scende costeggiando un lago in un paesaggio idilliaco e diventa sterrata: è il suo unico tratto non asfaltato, in questa zona che è una delle più remote del paese. E infatti il traffico è fortunatamente scarsissimo, se si tiene conto che siamo comunque sull'arteria principale dell'isola. Arrivati a un bivio, decidiamo come da piani di non seguire la n. 1, ma di tagliare attraverso un'altra strada, ovviamente sterrata. Da qui, per arrivare alla costa, bisogna comunque attraversare di nuovo le montagne. E infatti al bivio c'è subito un cartello che segnala pendenze del 17%. Siamo sicuri di voler andare di lì? Tanto non si scappa, da qualsiasi parte le affronti, sono montagne. Ha inizio un lungo colle su strada sterrata - fortunatamente non troppo dissestata. Siamo all'interno di una valle verde e ricca di corsi d'acqua, ancora una volta ci ricorda le nostre Alpi, non fosse per la vegetazione più bassa e il colore particolare dell'acqua, un blu gelo che da noi si vede di rado, anche in alta montagna. E per la strada: nuovamente non ci sono tornanti, ma rampe dritte e durissime che seguono il salire e scendere del territorio senza girarci attorno. Sono così ripide che sbandi cercando di rimanere in sella; per fortuna non c'è quasi traffico, sono tutti sulla strada principale - quei pochi che si avventurano in queste lande desolate dell'est. Non è salita costante: il saliscendi continuo permette di respirare e godersi il silenzioso idillio della natura intorno a noi. Finché a un certo punto, ecco la cima del colle - ormai da lontano hai imparato a riconoscere quando arriva, e tiri un sospiro di sollievo quando, da lontano, inizi a scorgere delle antenne, quasi sempre sul punto più alto della zona. E qui, la soprersa che ci lascia senza fiato: davanti a noi si apre una valle che sembra disegnata in un libro di fiabe. Stretta tra altissime montagne di riolite nera, modellate a formare disegni fantastici, in mezzo alle quali precipita, fragorosa, una cascata. Laggiù, in fondo alla strada che scende ripida e tortuosa, il fiordo, il primo dei fiordi sudorientali che percorreremo nei prossimi giorni. Meglio fermarsi un attimo per immergere lo sguardo in questa meraviglia, perché tra poco avremo poco tempo per alzare gli occhi. La discesa, contrariamente alla salita e alla maggior parte delle strade viste finora, è piena di curve strette e con rampe che superano il 20%, sterrata e ghiaiosa, e il vento del fiordo arriva violento fin quassù, colpendoci di lato e rischiando a ogni curva di mandarci fuori strada. Il peso rende difficilissimo controllare le biciclette. Forse è la discesa piu pericolosa della nostra vita. Stringiamo sui freni fino ad avere male alle mani, speriamo che non mollino perché non c'è salvezza. Stringiamo talmente che il contachilometri segna i 9 km/h. A volte la strada scenda talmente ripida che finché non ci arrivi sopra non la vedi. A un certo punto, sulla destra, c'è un'area di sosta con una vista meravigliosa sulle montagne e sulla cascata. Meglio fermarsi, rifiatare un attimo, far riposare mani e freni e soprattutto alzare lo sguardo e godersi l'idillio di questo luogo incantato. Laggiù in fondo c'è il mare, ma ci vorranno ancora tante rampe come queste per arrivarci. È il Berufjordur
.

L'ultima discesa ci porta sulla riva del mare. Alla nostra destra il famoso monte a forma di piramide, uno di quelli legati alle leggende della conversione al cristianesimo, dal quale nell'anno Mille avrebbero gettato le statue degli idoli pagani. Proprio in una delle curve lungo il fiordo c'è una piccola area con una panchina dove riusciamo a fare una sosta per mangiare qualcosa. Fermandoci, ci rendiamo conto solo ora della forza del vento. Per fortuna è dietro di noi. Ma nei momenti in cui, per le curve della strada, diventa anche solo vagamente laterale, si rischia di essere spostati. Scopriremo che questo è uno dei punti in cui le cartine per ciclisti segna
La strada continua a snodarsi nei fiordi, lunga, dritta, piena di saliscendi. A un certo punto, finalmente, in lontananza la spiaggia, mentre una nulano venti pericolosi. Ma niente rispetto a quello che deve ancora venire nei prossimi giorni.
vola si avvicina dal mare velocemente verso di noi. È pioggia che arriva veloce. In questo paese, lo stiamo imparando ogni giorno, le distanze sono strane. È tutto molto più lontano di quel che sembra. Piove, fa freddo, le gambe sono stremate dai colli, le mani dalla discesa. Per fortuna ecco Djupivogur. Anche questa sera preferiamo una stanza calda alla tenda. Ma la giornata è ancora lunga. Dopo una doccia e una ristoratrice fetta di torta (ma quanto sono buone le torte in questo paese?), c'è tempo per camminare sulla spiaggia, a osservare e soprattutto ascoltare i canti dei mille uccelli marini che nidificano da queste parti. Ancora due passi nel minuscolo porto, poi un'ottima cena nell'unico ristorante, dove incontriamo due motociclisti italiani reduci da avventurosi guadi nella pista di Sprengisandur.









Terza settimana
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