Berlino Copenaghen in Bici

Non è un viaggio estremo. Non è neanche lontano da casa. Ma ti porta fuori dei tuoi confini in un’altra dimensione, solo con te stesso e con tutto ciò che ti serve per vivere. Nulla è affidato ad altri, non dipendi da fattori esterni a te, almeno quasi mai.
Gli unici momenti di apprensione sono infatti quando devi affidare le biclette e le borse per il trasporto in aereo. Soprattutto alla partenza, un incidente di percorso potrebbe rovinarti la vacanza. Infatti iniziamo a essere tranquilli quando, all’aeroporto di Berlino, riprendiamo possesso di tutti i nostri averi tanto scrupolosamente imballati. Usciamo in bici dall’aeroporto di Berlino e rientreremo sempre in bici in quello di Copenaghen, due settimane dopo.
Prima di partire per il viaggio vero, un po’ di turismo a Berlino, passando da quasi tutti i luoghi principali di questa città che non si ferma mai.

Il momento è arrivato. Eccoci alla porta di Brandeburgo, inizio ufficiale del nostro cammino. Davanti a noi, ottocento km di incognito, soli con noi stessi. È ora di punta, la gente si sposta per andare al lavoro, siamo nel centro di una metropoli... Ma non abbiamo paura. La giungla delle città italiane è lontana. Qui la gente al lavoro ci va in bici o con i mezzi pubblici e i pochi che vanno in auto lo fanno con rispetto e senso civico.
Per uscire dalle città ti perdi inevitabilmente, e tanto più da Berlino, eterno cantiere e work in progress. Chiedere indicazioni? «Scusi, è questa la strada per Copenaghen?» Difficile immaginarlo. Capiterà la maggior parte delle volte che entri ed esci dalle città. Poi ti ritrovi sempre, grazie a cartelli, cartine, passanti - possibilmente ciclisti, così non ti mandano sulla superstrada.

Ma ora la città non c’è più. Al suo posto, villette e giardini immersi nel verde, stradine su cui passano solo ciclisti e pedoni, canali dove la gente si muove in canoa, anche un vecchio battello a ruote tipo Mississippi di un tempo. Al di là degli alberi si intuisce la strada, lontana, e poco oltre l’aeroporto. Sì, è incredibile ma siamo ancora a Berlino. Qui puoi vivere in questo idillio ed essere a 15 minuti di metropolitana dal centro di una delle più grosse capitali europee.

Ogni giorno circa 80 km - a volte meno, a volte 100. Sembrano pochi, ma noi ora stiamo abbandonando l’abito mentale del ciclista per indossare quello del viaggiatore, e per il viaggiatore è tutto diverso. Il viaggio è fatto di un andare avanti lento per scoprire ogni centimetro, ogni pietra del cammino, per assaporare ogni attimo del movimento e non per arrivare il più presto possibile alla meta. E allo stesso tempo c’è una leggera ansia di non farcela, di non rispettare le tappe previste, basta un guasto o un minimo imprevisto per rallentarci. E poi... se arrivi la sera e ti dicono che c’è solo un posto a 30 km, che fai? Pedali altre due ore?

Zehdenick, la nostra prima tappa, è un paese quasi deserto. Ha un che di magico, con i resti di un antico monastero avvolti dalla vegetazione, le minuscole case del centro su cui giocano i riflessi del sole che cala, il canale, dove rimaniamo a lungo a guardare il gioco della chiusa che si apre, dell’acqua che si alza e si abbassa davanti a una fila di barche in attesa: barche e barchette di diverse dimensioni, canoe cariche di borse con viaggiatori che, come noi, hanno scelto un mezzo lento e rispettoso di ritmi naturali.
Certo una ventina di anni fa qui non era così, e ogni tanto, in qualche strada secondaria, un edificio fatiscente ce lo ricorda. Ma a maggior ragione, se pensi alla storia recente, non puoi che ammirare un popolo che ha saputo riscattarsi in così poco tempo.

Viaggeremo per giorni immersi nella natura. Boschi, laghi, canali, zone paludose. Un parco naturale dopo l’altro. Questo è uno dei paesi più fortemente industrializzati d’Europa e del mondo, uno dei primi produttori di auto, ma ha saputo e sa sempre meglio custodire il suo patrimonio naturale, perché ha capito che quella è la strada per un vero benessere e una vera, alta qualità della vita. Ha capito che la natura non è un oggetto da sfruttare a nostro piacimento o un gioco da gita domenicale, ma è il mondo vero in cui vivere e di cui sentirsi parte, non padroni.
Strade e rumori sono vicinissimi, appena al di là degli alberi, eppure lontanissimi, come qualsiasi cosa che non siamo noi e il fruscio leggero delle ruote. Solo gli uccelli acquatici ci salutano, una volpe attraversa davanti a noi. Nessuno di loro sembra avere paura, qui il rapporto tra uomo e natura è semplice e paritario e gli animali lo sanno.
Ci vuole poco ad abituarsi a questa dimensione, solo apparentemente dimenticata, ma così naturale che, presto, ogni città incontrata lungo il percorso sembrerà quasi un disturbo, una frattura nella continuità del verde. Chilometri e chilometri di bosco sono interrotti talvolta da piccoli villaggi che sembrano, come la natura in cui sono immersi, uscito da una delle tante fiabe popolari nate in questi luoghi e da questi paesaggi. È in posti così che spesso ci fermeremo la sera, unico momento in cui, posate le biciclette, possiamo vestire i panni del turista a piedi con macchina fotografica. Un senso di pace magnifico accompagna questi momenti, un senso di compiuto e di meritato riposo, che proveremo ogni sera arrivando alla destinazinone prevista.

Ettari ed ettari di foreste si alternano ad aree naturali paludose, nate in parte in antiche cave di argilla, paradiso degli uccelli migratori che di qui passano lungo le loro rotte in primavera e in autunno - e infatti ora incontriamo ogni tanto gru e cicogne che stanno già venendo via dall’estremo nord: siamo ad agosto, nel nord è già iniziato l’autunno.
Non c’è molta gente in giro, il tempo non è neanche bellissimo. Ma nella solitudine delle foreste ogni tanto passano ciclisti carichi come e più di noi, con carrelli, bambini, cani... è normale vedersi qui, a volte è solo un saluto complice e veloce, a volte è qualche parola in più che si scambia. Alcuni di loro li rivedremo nei giorni successivi, altri prenderanno altre strade.
Uno dei villaggi che attraversiamo è Himmelpfort, la porta del cielo. Una strada, poche casette, un canale, un parco e di nuovo la rovina di un monastero. Dove il verde finisce inizia il muro, o forse ormai sono la stessa cosa. Il soffitto è il cielo. Più in là, il lago.
Poi finisce il paese e ricomincia il bosco, infinito e tutto intorno a noi.

Per molti giorni il ritmo sarà scandito da questa alternanza. Spezzata però una volta da un frattura più ampia e dolorosa. Pochi km prima di Fürstenberg, alla nostra destra, gli alberi sono interrotti da una recinzione. Dietro, edifici bassi e lunghi, come le baracche di una caserma. L’area è enorme, piatta, pochi visitatori camminano lentamente, puntini colorati in messo al bianco e al grigio, anche gli alberi sembrano non fare più ombra e non avere colori. Sono i resti del campo di sterminio di Ravensbrück. Certo, in un viaggio così non ci si può fermare a ogni singola pietra del cammino - d’altronde la velocità della bici ti consente di vedere senza doverti fermare. Ma qui è doveroso. Ricordare. Ricordare che qui, l’idillio viene da un passato tremendo. Prima di questo paesaggio incantato, prima di questi villaggi da fiaba, ci sono stati gli edifici fatiscenti che si vedono ogni tanto, e prima ancora, soprattutto, c’è stato questo: la sospensione di ogni speranza di riscatto per un’umanità capace di tanto. Oggi Himmelpfort, ieri Ravensbrück. Il cruccio di Thomas Mann: i campi di sterminio e la Nona sinfonia, prodotti della stessa civiltà.

Dopo pochi km lo squarcio si chiude e tornano foreste e villaggi. Fürstenberg, una delle tante cittadine incastonate in questo paesaggio, poi ancora foresta, e poi Neuglobsow e il lago di Stechlin. Un’oasi da sogno nel cuore della vecchia Prussia.
Il lago è grande, scuro e profondo in mezzo agli alberi di una foresta secolare. Sulla riva, gommoni e canoe ormeggiati tradiscono la presenza di turisti nei giorni di bel tempo, ma stasera è tutto abbandonato: ha soffiato tutto il giorno un forte vento, il tempo è nuvoloso, il lago è mosso.
Quasi ogni lago ha la sua leggenda, e questo non è da meno. Qui non ci sono mostri, né fanciulle annegate, ma solo un gallo rosso che controlla che non si peschi troppo e nei posti che a lui non vanno. L’ultimo pescatore che ha sgarrato è stato assordato dal suo sbattere di ali sull’acqua ed è stato da lui trascinato negli abissi. Questo lago è ricchissimo di pesci, anche una specie unica presente solo qui.

Da qui abbandoneremo il Brandeburgo per entrare nel Mecklenburgo. La regione è giustamente famosa per i suoi laghi e i suoi boschi, ed è una meta di villeggiatura molto amata dai tedeschi. Spesso la strada passa vicino a un lago, a volte più che strada è un sentiero, in qualche punto quasi un single track tra gli alberi, sale e scende ed è spesso resa accidentata dalle radici.
Il tempo in questi giorni non è dei più promettenti, si stanno ammassando dappertutto dei nuvoloni neri poco rassicuranti, sembrano distanti ma non sappiamo bene come tira il vento. Pazienza, siamo comunque preparati, tutto fa parte del viaggio. In mezzo ai boschi si alternano tratti asfaltati ad altri sterrati, ogni tanto si attraversa una strada, dove le poche automobili sono appena leggere incrinature nell’equilibrio generale. Di nuovo il verde si alterna ai colori delle case che annunciano microscopici villaggi, la strada si trasforma in lastricato - spesso degno della Parigi-Roubaix -, compare una chiesa (traliccio di legno e mattoni rossi, spesso con annesso giardino e cimitero), una piazzetta, qualche contadino o un cane di passaggio. Questi posti hanno nomi diversi, ma nella memoria il loro aspetto si confonde: Zwenzow, Blankenförde, Granzin...
Il vento soffia sempre più forte e il cielo è sempre più scuro. In uno dei tanti lunghi tratti di bosco incontriamo una comitiva di tedeschi, sono un gruppo di colleghi in vacanza assieme, ridono e scherzano, ci sorpassiamo a vicenda per un po’, facciamo un breve tratto assieme chiacchierando.

Ankershagen: in questo posto dimenticato da Dio, dove arriviamo di nuovo sotto una pioggia battente, è nato Schliemann, lo scopritore delle rovine di Troia. Un enorme, inequivocabile cavallo di legno domina il prato davanti al museo dedicato al celebre archeologo. Dall’altro lato della strada, l’immancabile chiesetta.
La quiete incantata di questi luoghi è interrotta per un attimo dalla cittadina di Waren, turistica ma discreta. La sera, sul porto, le luci della città si confondono con quella del sole, colorando il lago di mille riflessi.
Questa regione è un luogo di quelli in cui vorresti vivere - o almeno passarci qualche giorno per riprendere una dimensione di vita più naturale. Chissà, forse un giorno torneremo. Lo dici sempre, poi non lo farai mai, perché il mondo è grande e il tempo è poco.
Per ora ci godiamo ancora il cammino tra laghi e foreste. Tra le tante chiese e chiesette una tra tutte si ricorda, quella di Jabel, con accanto un complesso parrocchiale, fienile, forno e un tasso di 250 anni, con un tronco di oltre 4 metri di diametro, protetto come monumento nazionale. Il tempo continua a minacciare acqua, le mantelline sono a portata di mano. Ogni tanto un cancello annuncia l’ingresso di un parco naturale. Vogliamo godere appieno di questa giornata, immergerci in tutti gli elementi di questa natura.

E così, posate le biciclette al campeggio di Krakow am See, decidiamo di esplorare il lago e le sue rive in canoa. I primi momenti passano a capire come andare dove vogliamo e non dove vuole lei. C’è vento, il lago non è completamente calmo e non è facile. Ma l’emozione di scivolare in silenzio sull’acqua è fortissima. La riva è fatta di canneti in cui vive ogni sorta di uccelli, e solo da dove siamo noi si può godere a pieno di questa vista. Qualcuno pesca, fermo su minuscole barche. Seguendo le anse della riva andiamo verso il centro del paese, passiamo davanti ad alcune casette su palafitte. Godiamo di questa atmosfera incantata cercando contemporaneamente di non perdere il controllo del mezzo, che tende pericolosamente a deviare dritto verso le canne o verso il centro del lago. C’è una pace completa, solo venata per noi da una leggerissima inquietudine - il paesaggio è abbastanza uniforme, non rischieremo di perdere i punti di riferimento? In fondo è la prima volta che ci troviamo a remare in mezzo a un lago. Dopo un’ora e mezza rientriamo, l’aria è umida e non fa caldo, e poi le braccia e le spalle fanno decisamente male. L’uomo che ci ha affittato la canoa è nella cucina della sua piccola osteria e pulisce funghi. Tutto è piccolo, sereno, quasi intimo, come la piccola palafitta di legno con il tetto di paglia in cui consumeremo la nostra cena, mentre il sole colora il lago dei riflessi del tramonto.

Da qui, andando verso nord, il cielo si fa sempre più grigio - lo svitato del villaggio ci ha avvertiti, vedete questi nuvoloni neri? Oggi pioverà.
Le poche città che attraversiamo hanno un’aria sempre piú nordica: Güstrow, con il suo castello rinascimentale molto grigio, molto massiccio e molto tedesco, e Bützow, cittadina scura e nordica, ma con una bellissima piazza centrale (Marktplatz, come quasi dappertutto) e un municipio dall’architettura già anseatica. Tra le due città un canale e un vialetto tra gli alberi. Qualche ponte di legno, solo per pedoni, qualche piccola imbarcazione leggera. L’acqua lascia intravedere un fondale basso ed enormi alghe che sembrano quasi foglie di palma.

E infine, ecco Rostock, dove, dopo un arrivo in centro come sempre rocambolesco problematico, una folla di turisti - e non - ci fa subito rimpiangere la quiete di questi giorni in mezzo alla natura.
L’architettura è quella tipica delle città anseatiche; colpiscono soprattutto le chiese di mattoni rossi, enormi e massicce in un modo impressionante.
La sommità del tetto del municipio ricorda le case di Lubecca, altro gioiello del nord e patrimonio dell’umanità.

Al porto è in corso un festival di vele d’epoca e c’è una folla sterminata, tutta la banchina è invasa da bancarelle, stand gastronomici, gruppi musicali. Si cammina a malapena tra la folla, mentre, ormeggiati in acqua, velieri e galeoni di proporzioni a volte imponenti fanno bella mostra di sé, spesso carichi di equipaggi che consumano allegramente intere casse di birra. In un angolo un gruppo suona musica celtica. Ascoltiamo per un attimo queste note quasi magiche, così in contrasto con la confusione goliardica che ci circonda. Più avanti, un gruppo di ragazzi e ragazze vestiti da pirati cantano l’immancabile canzone di Klaus Störtebeker - il leggendario pirata che da queste parti è un’istituzione. La banchina del porto è molto lunga, e senza rendersene conto si fa molta strada, in mezzo alla folla che si fa sempre più serrata. Da un lato i velieri, dall’altro, oltre le bancarelle, i grandi edifici degli ex magazzini portuali, oggi riadattati a ospitare alberghi, ristoranti, centri commerciali.

È venuto il momento di salutare la Germania. Direzione: Danimarca.
All’imbarco del traghetto il gruppo dei viaggiatori in bici è vario e numeroso: coppie e famiglie con figli di ogni età, i più piccoli nei carrellini posteriori, quelli un po’ più grandicelli, orgogliosi e sorridenti, con la loro bicicletta stracarica esattamente come quella dei genitori. I velieri di Rostock stanno uscendo in regata. Presto siamo circondati da imbarcazioni di ogni tipo, che ci accompagneranno per il primo tratto del viaggio. Lo spettacolo è unico, reso perfetto dal vento che da queste parti non manca mai. Vediamo la Germania allontanarsi, il mare solcato da mille vele, e sullo sfondo, nitida e inquietante, la centrale nucleare che butta nell’aria enormi quantità di vapore, capaci di deviare la forma e il corso delle nuvole. Curioso paese dai forti contrasti, indice forse di un equilibrio che noi non conosceremo mai. Foreste incontaminate e centrali nucleari, autostrade affollate di auto enormi e una rete ciclabile che copre pressoché tutto il paese.

Eccoci in Danimarca. Il paesaggio è decisamente diverso da quello tedesco. Meno bosco e meno verde, predomina il colore giallo scuro del grano maturo, ancora in fase di mietitura a metà agosto - e infatti, nei prossimi giorni, la solitudine della campagna danese sarà talvolta interrotta dall’incontro con qualche mietitrebbia. Il sole è caldo, il cielo molto più azzurro dei giorni scorsi, il vento sempre deciso e sempre contro.

Un giorno di sosta a Maryelist - infiniti km di spiaggia a perdita d’occhio, windsurf, bambini e famiglie che vi trascorrono queste giornate inondate di sole e vento, e un paese assolutamente perdibile, nato e cresciuto solo sul turismo balneare per ricchi. Lunghe camminate sulla spiaggia - così lunga, così uguale da rischiare di perdersi, un veloce bagno, e soprattutto l’incontro con una coppia di tedeschi sulla cinquantina che arrivano da un lungo viaggio in Scandinavia con il loro tandem pieghevole biammortizzato supertecnologico, con il quale ci raccontano di aver girato mezzo mondo.
Il viaggio è molto anche questo: contatti spontanei con le gente, incontri che capitano e basta, naturali e non cercati.
La notte, il vento e il mare riempiono tutto con il loro rumore. Attorno a noi non esiste nient’altro.

Campi di grano sul mare: ci abitueremo presto a una delle costanti di questo paesaggio, qui naturale, per noi surreale. L’occhio si perde nel giallo dorato, in mezzo al quale svettano da tutte le parti immensi generatori eolici e spuntano chiesette tutte simili tra loro, gialle o bianche, dalla facciata orlata di gradoni. Le cittadine di Nikobing e Stubbekobing, con i loro centri storici pieni di turisti, interrompono per un attimo la solitudine della campagna.
Questa parte est della Danimarca è fatta di piccole isolette collegate tra loro da ponti o da brevi tratti di traghetto. Il traghetto crea sempre un po’ di ansia, forse perché è qualcosa che non puoi controllare tu, che sfugge alla fiducia nelle tue sole forze su cui sei abituato a scandire le tue giornate in un viaggio come questo.

Sull’isola di Møn, la strada ciclabile si perde talvolta in mille deviazioni, non tutte imperdibili e non tutte piatte come ti aspetteresto dalla Danimarca. Una scorciatoia ci porterà in una stradina sterrata con qualche tratto di pendenza seria, vicina al 10% - naturalmente con il vento contrario.
L’isola è celebre nel mondo per le sue scogliere bianche a picco sul mare, alte fino a 100 metri, che ricordano quelle di Dover o dell’isola di Rügen, nel nord della Germania. Lo spettacolo è ancora più sorprendente in un paese che passa per uno dei più pianeggianti d’Europa, al pari dell’Olanda. Siamo in piedi su una sottile striscia di spiaggia di sassi, da una parte le scogliere, dall’altra il mare. Tanta gente affascinata dallo spettacolo cammina sulla spiaggia, o è ferma a godersi il sole e il caldo di questa stupenda giornata estiva. Le scogliere sono bianche e friabili, hanno una consistenza strana, il materiale che le compone è - o sembra - gesso che si disfa al contatto con l’acqua e con le mani e colora il mare intero della sua sostanza. Da queste parti la natura gioca alla grande e rivendica prepotentemente i suoi spazi. Un albero è cresciuto a strapiombo sul pendio nonostante che le sue radici siano completamente scoperte dall’erosione. In alto, siamo a strapiombo sul mare di oltre 100 metri, e chi si avventura troppo avanti sul precipizio lo fa a suo rischio. Lo spettacolo è altrettanto impressionante, e il mare, laggiù, è di due colori nettamente divisi: il bianco riesce a prendere il sopravvento fino a una linea di demarcazione oltre alla quale inizia di colpo l’azzurro. Lo sguardo non si stanca e potresti starci tutto il giorno. I turisti si affollano e si avvicendano, molti sono tedeschi, molte famiglie con bambini.

La città principale dell’isola è Stege, piccole casette colorate e un porto dove la luce del tramonto crea incredibili giochi di colore sull’acqua e tra le barche ormeggiate. In questi giorni il mare è liscio e piatto come di rado si vede anche dalle nostre parti. Qui incontriamo una coppia di gay tedeschi che fanno il nostro stesso viaggio - già visti in Germania alcuni giorni prima - e conversiamo a lungo con loro, scambiandoci impressioni ed esperienze.

Da queste parti, a differenza che in Germania, i grandi percorsi ciclabili passano sulle strade normali, e ogni tanto capita qualche tratto un po’ più trafficato - niente, comunque, in confronto a quanto dobbiamo vivere ogni giorno nel nostro paese, senza avere neanche più la forza di scandalizzarci. Qui, tutti rispettano il codice della strada. Automobilisti, ciclisti, pedoni. Ognuno ha il suo spazio e soprattutto c’è il senso delle proporzioni e dell’attenzione per chi sulla strada è molto più fragile e molto meno ingombrante. Qui i ciclisti hanno semafori e corsie dedicate anche nelle rotonde. Qui, nei tratti di strada senza pista ciclabile, continui segnali di pericolo avvertono gli automobilisti di prestare attenzione ai ciclisti in transito. Così non abbiamo mai la sensazione di pericolo, neanche sul lungo ponte - uno dei tanti che percorreremo in questi giorni - che è l’unica via per uscire dall’isola.

La capitale inizia ad avvicinarsi. I prossimi giorni saranno ancora tra campi di grano, fiordi, villaggi e paesini un po’ più grandi: come Praesto, casette basse dal profilo aguzzo e dai colori vivaci, vie lastricate di grosse pietre irregolari, piazza del mercato e porto con piccole barche da pesca e da turismo.
Lungo il fiordo di Praesto, in alcuni tratti, solo una sottile striscia di dune o di spiaggia ci separa dal mare, che ogni tanto invece sparisce dietro gli alberi.

A un certo punto, lungo la spiaggia, in mezzo alla vegetazione bassa delle dune, si apre un minuscola radura con una panchina e un tavolino. Sembra fatta apposta per il nostro pranzo di ferragosto. Sono le 13, non c’è nessuno, siamo seduti al sole nel vento, davanti a noi il mare e una lunga striscia di spiaggia deserta.

Sono le ultime tappe del viaggio e inizia un po’ di stanchezza. Non è solo fisica, è anche mentale, perché non ti fermi mai, sei proiettato continuamente in avanti a guardare, pensare, progettare, risolvere, andare. Qui ti rendi conto di quanto sia riposante la noiosa sicurezza quotidiana, ma anche di quanto invece questa stanchezza sia salutare e ti porti fuori da gabbie e trappole che dall’interno non riesci neanche a vedere. Ogni giorno, gli ultimi km sono sempre abbastanza pesanti e non vedi l’ora di arrivare.

Ma questi ultimi giorni di viaggio ci regaleranno ancora tante sorprese e tante emozioni.
Rodvig: vecchio porto di pescatori con qualche concessione a un turismo discreto. In un dedalo di moli e pontili galleggianti sono ormeggiate un’infinità di imbarcazioni minuscole - per fortuna niente a che fare con certi mostri deformi che si vedono nei nostri porti turistici. Il molo più esterno è delimitato da una fila di casette di legno colorato che sembrano fatte con i lego - evidentemente il giocattolo nazionale è nato riproducendo un’architettura che non è solo nei giochi o nelle fiabe. Più in là, oltre il porto, un faro solitario, una spiaggia e una costa di scogliere bianche, che sembrano la riproduzione in scala ridotta di quelle dell’isola di Møn.

La vecchia chiesetta di Højerup. Si entra da un lato nell’unica piccola navata che in fondo, dalla parte opposta all’altare, termina con una finestra che dà su un balcone a picco sulla scogliera. Verticale, sul vuoto. In fondo, il mare. È uno di quei posti da cui fatichi a staccarti, dove non smetteresti di riempirti gli occhi e il cuore di ogni particolare, per essere sicuro di non dimenticarlo più. Non è solo la bellezza, è un’energia particolare che ti tiene come incantenato.

E poi i famosi castelli danesi. Come Gjorslev, il più antico della Danimarca. Dalla strada si entra attraverso le scuderie e gli edifici di servizio, un complesso di casette basse a traliccio, bianche e rosse. Il castello è dietro, circondato da un fossato pieno della solita vegetazione di foglioline verdissime. Intorno, un parco di alberi secolari. Il castello è molto grigio, ma è immerso in un ambiente incantevole.

L’ultima città di un certo rilievo prima di raggiungere la capitale è Køge. Sono un po’ tutte uguali queste città, a volte a distanza di tempo il ricordo fatica a distinguerle. Anche questa ha un centro storico e un porto. Il porto è pieno di ristorantini affollati. Il centro è piuttosto grande, con alcuni edifici storici tra cui la casa a traliccio più antica della Danimarca, risalente al sedicesimo secolo. La piazza del mercato è grande e animata, un gruppo suona e canta musica popolare. Fa molto caldo. L’effetto è straniante dopo giorni di campagna, solitudine, silenzio e villaggi sperduti. Li rimpiangiamo quasi subito. E li rimpiangeremo anche di piú tra poco, avvicinandoci ai sobborghi di Copenaghen, man mano che si farà più difficile seguire il nostro percorso, perso tra mille vie intorno a una grossa arteria di traffico che preannuncia la capitale.

Viuzze, parchi, canali, spiagge, oasi naturalistiche e complessi residenziali immersi nel verde ci introducono pian piano verso la città. Che differenza con le nostre periferie invase di cemento e gli argini dei fiumi trasformati spesso in luoghi di nessuno o peggio in discariche a cielo aperto. La vita può essere molto diversa, più sana e più semplice, anche vicino a una grande città.
Ci perdiamo mille volte per entrare, come era successo per uscire da Berlino. Ma poco per volta la periferia cede il posto a vie sempre più centrali e finalmente ecco il cuore della città, la capitale mondiale del trasporto in bici, con piste ciclabili a doppia corsia per ogni lato della strada. Qui è il ciclista urbano il vero protagonista del traffico. Qui nessun automobilista sognerebbe di parcheggiare anche solo con mezza ruota sulla pista ciclabile o di non dare la precedenza a un ciclista. Qui nessun pedone svagato cammina in mezzo al percorso ciclabile lamentandosi che passano le biciclette.
La piazza del municipio è la meta finale del percorso. Un ingresso trionfale, tra la musica e le bandiere del gay pride che sarà protagonista di questo week-end nella capitale, non ghettizzato o visto come spettacolo da circo, ma con la gente e tra la gente, senza barriere. Bambini in carrozzina con genitori e nonni sventolano felici la bandiera arcobaleno.

La città è meravigliosa, ma affollata e faticosa, soprattutto dopo giorni di silenzio e natura. D’altronde è ferragosto, lo avevamo dimenticato.

La tensione del viaggio, dell’andare avanti, lascia il posto a un senso di soddisfazione e quasi di sollievo. Ora possiamo anche permetterci di essere stanchi, ma con la coscienza di avercela fatta e di essere un po’ più ricchi di quando siamo partiti.

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