Israele 2014

Israele 2014

Sabato 26 aprile

Partiamo con un po’ di ansia: nel nostro immaginario europeo abbiamo tutti la visione di un paese in cui rischi ogni minuto una pallottola o una bomba, o almeno interminabili controlli di sicurezza e interrogatori per entrare nel paese. L’arrivo in aeroporto a Tel Aviv è liscio e senza intoppi, pochi minuti e siamo forniti di visto di ingresso. I taxi sono gestiti da un impiegato che comunica in anticipo la tariffa e dà uno scontrino con il numero dell’auto, “in caso dimentichiate qualcosa”. Meno di un’ora di viaggio e siamo nel centro di Gerusalemme, il nostro albergo è in piena zona pedonale nella città nuova, sappiamo che è vicino alla città vecchia, ma scopriremo tutto domani. L’animazione della zona ricorda quella di una qualunque città europea il sabato sera. È buio, lo Shabbat è terminato, locali e negozi hanno riaperto. Con un po’ di fortuna troviamo un delizioso locale kosher dove abbiamo un primo assaggio della stupenda cucina della zona, serviti da un giovanissimo cameriere che parla un francese degno di un parigino. 

Domenica 27 aprile

Andrea ci raggiunge in hotel mentre facciamo colazione. Che strano e che bello vedersi qui, a migliaia di chilometri da casa. Lo accompagniamo a fare la spesa al celebre mercato Mahane Yeuda dove entriamo subito nella vita vera della città. Poi camminiamo fino alla parte est di Gerusalemme, al pittoresco quartiere musulmano vicino alla porta di Damasco, dove veniamo investiti da un trionfo di colori, suoni, profumi. Donne giovani con veli coloratissimi entrano ed escono dai negozi, donne anziane velate di nero, sedute per terra, vendono montagne di ceci freschi e foglie di vite. Alcune fanno capire chiaramente di non voler essere fotografate.
Lasciamo l’animazione di queste strade per entrare nella mistica quiete del Getsemani, con i suoi ulivi dai tronchi enormi e cavi - alcuni sembrano davvero datare di circa 2000 anni. Chissà. La folla di turisti è discreta e non disturba l’energia primordiale che ci avvolge.
La strada in salita ci conduce tra panorami mozzafiato alla cima del monte degli Ulivi, passando per le tombe dei profeti - una serie di suggestive grotte in cui entriamo illuminandoci con una candela - e vicino agli sterminati cimiteri sorti nel luogo in cui, secondo la Bibbia, avverrà la resurrezione finale. Dopo una breve pausa alla cima del monte, dove sorge un microscopico quartiere arabo, torniamo giù scendendo una stretta scalinata in mezzo alle case, fino alla tomba della Vergine, una chiesa-grotta molto suggestiva e indicativa dei contrasti e delle contraddizioni di questi luoghi, in cui tutte le religioni rivendicano la loro parte di storia. Come nella basilica del Santo Sepolcro, dove ogni confessione cristiana ha il suo piccolo “pezzo” e la sua versione della storia. E dove, soprendentemente, il Calvario e il sepolcro sembrano trovarsi a pochi metri l’uno dall’altro. È difficile districarsi tra i vari piani e le varie cappelle di questa basilica, di cui oggi ci accontentiamo di un primo assaggio, e che torneremo a vedere nei giorni successivi. È comprensibilmente uno dei luoghi più affollati e “faticosi” della città, invasa da pellegrini di tutte le confessioni cristiane.
Camminando per la città vecchia, quasi per caso ci troviamo al checkpoint che conduce al Muro occidentale, al quale diamo una prima occhiata. Nei giorni successivi ci torneremo più volte, richiamati da una misteriosa forza di attrazione.
La sera a casa di Andrea e Ilario è la prima di una serie di momenti affettivi profondi e genuini, dove, anche con chi vedi per la prima volta, è come se ti conoscessi da sempre. Sono quei momenti che fanno bella e vera la vita e che vorresti vivere più spesso, e che tanto mancano nell’assurdità incolore della vita quotidiana. 

Lunedì 28 aprile

Ha inizio all’alba una delle giornate più emotivamente intense del nostro viaggio. Alle 7 siamo già in coda per la spianata delle moschee - il monte del Tempio, il sacro suolo proibito agli ebrei, e al quale è possibile accedere da una sola porta, se non si professa la religione islamica. Dopo il caos dei controlli, si entra in un’oasi di pace che fa dimenticare tutta l’animazione che continua a scorrere nelle vicine vie della città. La cupola della Roccia, con il suo oro e le sue maioliche preziose e variopinte, catalizza la vista e l’attenzione. Piccoli gruppi di uomini e di donne, rigorosamente separati, pregano o leggono il Corano. I turisti passeggiano e fotografano, quasi in punta di piedi, per non disturbare: sono tutti travolti dalla sacralità di uno dei luoghi più antichi e contesi della terra. Ai lati della spianata, si intravedono dalle porte aperte le madrasse affollate di bambini.
Passano alcune ore prima che riusciamo a staccarci da questo luogo.
Oggi è il giorno della commemorazione della Shoah. Alle 11 una sirena suona in tutta la città e in tutto Israele, tutti si fermano per un minuto. Immobili, per strada, nei negozi, anche le auto si fermano. 
La seconda parte della giornata sarà proprio dedicata al memoriale dell’Olocausto. Affollato all’inverosimile, impressionante nei suoi documenti fotografici, ambizioso e grande nel suo programma di ricostruire nomi e dati biografici di ogni singolo ebreo morto nei campi di sterminio. Una sala enorme raccoglie i dati di ognuno, e spazi vuoti attendono ancora di dare un volto e un nome a ogni vittima che ancora non ce l’ha. Nella sala della Memoria si sta concludendo una cerimonia. Un coro di ragazzi, a cui si uniscono tutti i presenti, canta l’inno nazionale. La melodia è struggente e sconvolgente come la storia del suo popolo. 
La sala dei bambini: una stanza buia in cui una sola candela in un gioco infinito di specchi crea un cielo stellato, mentre una voce elenca uno per uno, ininterrottamente, i nomi del milione e mezzo di bambini ebrei morti nei campi di sterminio. 
Anche sotto il Muro occidentale l’atmosfera è più solenne di ieri. Barbe, cappelli, riccioli, scialli rituali e filatteri si affollano attorno ai rotoli della Torah. Si prega e si canta, a tutte le età -uomini e donne, rigorosamente separati ma uguali nel condividere un’intensità a noi sconosciuta. 
Quattro passi in città, alla scoperta dei suoi angoli, respirando la sua atmosfera unica, aiutano a sedimentare le emozioni intense della giornata.

Martedì 29 aprile

Si parte all’alba verso il mar Morto. Attraversando il “tunnel del tempo” lasciamo Gerusalemme e sbuchiamo in pieno deserto, tra colline sabbiose e insediamenti beduini. Lo stradone corre, enorme, in discesa, finché un segno indica il livello del mare. Si continua a scendere, presto siamo a -400 metri, nel punto più basso della Terra. Sulla nostra sinistra, il mar Morto; dietro, i monti della Giordania. Il deserto è interrotto di tanto in tanto da qualche coltivazione di palme. La fortezza di Masada, dove sorgeva il palazzo del re Erode, l’ultima roccaforte della resistenza ebrea contro i romani, sorge su un’altura di 400 metri - in realtà si trova a livello del mare. Una salita a piedi di circa 40 minuti ci porta alla cima, tra il marrone-rosso dominante delle formazioni rocciose del deserto, e in fondo l’azzurro contornato di bianco del mare piú salino del mondo. 
Poco distante, il deserto è interrotto dall’oasi di Ein Gedi, incantevole riserva naturale con piante, animali, cascate e pozze di acqua potabile, affollate di gente in cerca di frescura. In un angolo un po’ nascosto, una famiglia di ebrei ultraortodossi si immerge in acqua senza togliere o spostare minimamente i pesantissimi e ingombranti abiti che portano anche sotto il sole cocente dell’estate. 
Concludiamo con un bagno del mar Morto - per provare l’esperienza unica di stare praticamente “seduti” sull’acqua, sensazione che non si prova in nessun altro punto del pianeta.
Rientrati a Gerusalemme, c’è ancora tempo per una passeggiata - e sarà nel quartiere degli ebrei ultraortodossi venuti dai ghetti dell’Europa centrale - quelli che hanno scelto di ripudiare ogni modernità e vivere pregando e seguendo delle regole di vita rigidissime fin da bambini - una delle poche cose non proibite sembra la bicicletta, e infatti non è insolito vedere ragazzini giovanissimi, già intabarrati in cappottoni e cappelloni e muniti dei riccioli di ordinanza, sfrecciare come matti su mountain bike e bmx, con un certo rischio per l’incolumità dei passanti.

Mercoledì 30 aprile

Mattinata un po’ da dimenticare: sballottati tra pullman e guide per mezza città per radunare gli imprudenti che hanno deciso di visitare Betlemme con un tour organizzato - ci sembrava più comodo ed economico che prendere un taxi, con la complicazione del checkpoint e il rischio di essere lasciati a piedi... e poi intruppati come le pecore con una guida onnivora che non ti lascia respirare un attimo e che cercherà, alla fine, di “sequestrarci” in un negozio di souvenirs... questo è Betlemme, purtroppo. La sacralità simbolica del luogo è annegata dai “mercanti nel tempio”, anche se, indubbiamente, il piccolo villaggio bianco e la chiesa della Natività con la stella e la mangiatoia non possono non destare almeno curiosità, e ti rassegni a infilarti nella lunga coda all’ingresso della grotta, osservando nel frattempo la varia umanità che affolla il luogo. Siamo a pochi chilometri da Gerusalemme, ma in mezzo c’è l’impressionante muro che divide Israele dai Territori palestinesi, a fianco del quale il ricordo del muro di Berlino impallidisce. Anche qui, qualcuno ha tentato di renderlo meno cupo colorandolo di graffiti. Il checkpoint è veloce, per fortuna: uno dei pochi vantaggi di essere in un gruppo guidato. 
Il senso di costrizione sparisce appena siamo di nuovo in Gerusalemme, padroni del nostro tempo. Per fortuna il pomeriggio è ancora lungo e ci permette una distensiva passeggiata alla scoperta di nuovi angoli della città vecchia, questa volta la tomba di Davide e il quartiere ebraico con i resti del cardo romano. 
Ma questa sera ha inizio anche l’altro evento, quello dell’incontro con gli amici che stanno arrivando per vivere qualche giorno speciale insieme. Nel nostro albergo arriva Paola - anzi Paola Tasso, nome e cognome, l’abbiamo sempre chiamata così per distinguerla da altre Paole della compagnia. Che bello rivedersi dopo tanti anni e sentirsi come allora.
La sera, al ristorante, occupiamo già due tavoli. Si parla italiano, ma anche inglese e francese. Si parla di tutto, semplicemente, come se ci si fosse appena visti il giorno prima. 

Giovedì 1 maggio

“Primo Maggio a Gerusalemme” è il nome che Andrea ha dato all’evento. E questa mattina si inizia, tutti assieme, eterogeneo gruppo di turisti-amici italiani, belgi e francesi con guida, un anziano signore israeliano che ci intrattiene in inglese conducendoci attraverso la città vecchia, anche in luoghi in cui siamo già passati, ma facendoli ora vivere sotto una luce diversa, cogliendo particolari nuovi, e soprattutto imprimendo tutto del colore affettivo di vivere questo momento insieme ad amici amati da sempre e altri appena conosciuti.
Anche oggi torniamo al Muro occidentale, dove si conclude la visita. L’attrazione di questo luogo è ogni giorno rinnovata. La spiritualità di questa gente che prega e medita per la maggior parte della sua vita. I contrasti con i militari schierati in esercitazione sulla piazza, uomini e donne, poco più che adolescenti. L’uomo che prega con le mani alzate sul muro, e un Kalashnikov a tracolla. Questo è Israele. Dopo qualche giorno sei abituato a vedere militari e armi dappertutto. La ragazza che prende il tram accanto a te, una qualunque adolescente con lo zainetto e il cellulare, solo che indossa un’uniforme e un fucile automatico. Sembra che non ci si faccia più caso. 
La sera si festeggia il ritrovo di tutti gli amici attorno ai nostri meravigliosi Andrea e Ilario, ai quali è riuscita la non facile impresa di riunirci tutti qui. Chi non si conosceva è come se si conoscesse da sempre, chi non si vedeva da anni è come se si fosse appena lasciato ieri. È una dimensione umana e spontanea dei rapporti che sembra non esistere più. È un momento che ti fa sentire migliore e più vivo, e che cerchi di assorbire al massimo per portarlo con te, per tenerlo dentro quando l’esacerbata quotidianità dei rapporti falsi che troppo spesso la società impone tenterà nuovamente di toglierti l’energia positiva. 

Venerdì 2 maggio

Se nella chiesa del Santo Sepolcro ogni corrente del cristianesimo racconta la sua versione dei fatti, gli anglicani si sono ritagliati uno spazio diverso e lontano, che è la tomba del giardino. Anche se non sembrano esserci coincidenze di epoche storiche, la sacralità raccolta di questo luogo gli dà un senso di intimità e autenticità maggiore rispetto ai luoghi “ufficiali” degli altri cristiani - sarà anche per una maggiore vicinanza alla descrizione del podere di Giuseppe di Arimatea. L’entrata della tomba è chiusa da una porta di legno, sulla quale la scritta “He is not here for he is risen” sembra quasi un “torno subito”. 
Ci resta ancora un po’ di tempo per un ultimo saluto alla città vecchia - puoi entrarci dieci, cento volte, e scoprire ogni volta nuovi suggestivi angoli - poi ci riuniremo al gruppo degli amici per un ultimo giro al mercato, tra i trionfi di odori e colori, montagne di spezie, frutta, verdura di ogni tipo, olive, frutta secca, dolci. Oggi è venerdì ed è affollato all’inverosimile, diventa difficile muoversi senza perdersi tra la folla delle famiglie che fanno la spesa per la cena dello Shabbat. 
Nel pomeriggio, prima del tramonto, la città si fermerà fino al tramonto del giorno successivo - e qui si ferma in modo assoluto e totale, non come da noi la domenica. Niente negozi, locali e ristoranti chiusi, niente mezzi pubblici. Ci dicono che il tram passa fino alle 16, quindi c’è ancora il tempo per un kebab con gli amici, fuori del mercato perché dentro è troppo affollato e anche noi siamo troppi... 
Una corsa in hotel a prendere le valigie, e ci ritroviamo tutti da Andrea e Ilario per un momento di relax prima di partire per Tel Aviv, tutti assieme su un autobus riservato (autista palestinese, ovviamente, disponibile di sabato). Come in gita scolastica. Torniamo indietro di 30 anni. Facciamo ancora una sosta al monte degli Ulivi, ultime foto, addio a Gerusalemme. 
A Tel Aviv alloggiamo al Cinema Hotel, nell’edificio che è stato il primo cinema della città - e infatti sembra di essere in un museo del cinema, con vecchie macchine da ripresa, attrezzi di scena, locandine. Accanto ai tavoli della colazione domina, enorme, la storica locandina di Via col vento - ovviamente in ebraico. 
Una veloce corsa in taxi ci porta a Jaffa in tempo per vedere il sole tramontare sul mare, tuffandosi veloce come solo a quelle latitudini è possibile, mentre, dal minareto, l’altoparlante diffonde la preghiera della sera. Il lungomare è affollato di gente venuta a godersi lo spettacolo. La cittadina e il suo porto - quello che era l’antica porta di Gerusalemme sul Mediterraneo - si tingono dei colori della sera. Il caos di Tel Aviv, città moderna e mondana, con i suoi grattacieli e le sue spiagge che ricordano la riviera romagnola, è presto dimenticato. Un’altra cena in compagnia, nella magica atmosfera del porto, e una lunga passeggiata di ritorno a Tel Aviv, concludono la giornata.

Sabato 3 maggio

Certo dopo la forza mistica di Gerusalemme Tel Aviv lascia un po’ indifferenti. Non sembra diversa da una moderna città europea. Interessante la visita guidata ai quartieri Bauhaus, dove gli edifici purtroppo spesso fatiscenti e trasandati lasciano però intuire il ricordo degli splendori della città bianca - alla quale appartiene anche il nostro albergo, forse uno degli esempi meglio conservati. Il clima è molto caldo e umido, diverso dalla piacevolezza di Gerusalemme, e dopo un po’ di ore la fatica si fa sentire. 
Nel pomeriggio rimangono solo le forze per un breve bagno, sempre un po’ inquieto, con un occhio a zaini e macchine fotografiche. La spiaggia è affollatissima - è sabato, dappertutto ci sono cartelli di divieto di balneazione per mancanza di servizio di sicurezza... ma in acqua c’è tanta gente come d’estate sulle nostre coste. 
Ci aspetta un’altra serata in compagnia in uno stupendo ristorante sulla spiaggia - che fatichiamo a trovare, visto che anche il taxi ci lascia al posto sbagliato... 
Sono di nuovo ore di umanità intensa, di quelle che danno colore ed energia alla vita, e che troppo spesso ci mancano nel quotidiano. Le ultime foto di gruppo, poi una lunga rilassante passeggiata, chiacchierando e raccontandosi, a gruppetti, tra il profumo del mare e le luci della città e dei suoi alberghi di lusso che si affacciano sul lungomare.

Domenica 4 maggio

È il giorno del congedo - promesse di scriversi, rivedersi, inviare foto. Qualche lacrima. 
Noi due abbiamo ancora la giornata davanti, e cerchiamo di esplorare una città diversa da quella vista finora, meno ricca, meno turistica e più vera. Dal mercato - meno bello di quello di Gerusalemme ma sempre affascinante come tutti i mercati mediorientali - al quartiere yemenita con le sue minuscole case e i suoi locali caratteristici, alle vie pedonali piene di coloratissimi negozi di stoffa. Il caldo è fortissimo e impone una pausa in albergo a metà giornata. Dentro di noi, comunque, il viaggio è come già finito, come spesso capita alla vigilia della partenza.
L’ultima sera del nostro viaggio vogliamo passarla ancora a Jaffa. Ci avviciniamo camminando attraverso piccoli quartieri periferici, dove dietro alle minuscole casette colorate si vedono svettare a distanza gli enormi grattacieli di questa città dai forti contrasti. 
Ci godiamo ancora un po’ gli scorci della città vecchia e dei suoi vicoli - pieno mondo arabo a due passi dai grattacieli. 
Questa sera si festeggia il giorno dell’indipendenza e scopriamo che tutti i locali, alle 20, hanno l’ordine di chiudere. L’atmosfera è da coprifuoco, auto della polizia per le strade, i locali respingono i turisti ritardatari o ignari che tentano di cenare. Noi ci riusciamo, per il rotto della cuffia, un occhio all’orologio nella paura che ci mandino via senza lasciarci finire - non è proprio la serata rilassante che ci eravamo immaginati, ma Israele è anche questo. Alle 20 suona di nuovo una sirena in tutto il paese, e tutto si ferma per due minuti - la gente sul lungomare, le biciclette, le auto. Come un singolo, lunghissimo fotogramma. 
Domani lasceremo questo strano e affascinante paese, dopo aver superato le immani misure di sicurezza del suo aeroporto: torniamo a casa con gli occhi e la mente pieni di bellezza e il cuore più pieno di affetto e umanità. 

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